I primi documenti attestanti l’esistenza della Giostra Cavalleresca di Sulmona risalgono alla seconda metà del Cinquecento. Il torneo si teneva nella solennità del 25 marzo, Annunciazione di Maria e 15 agosto, Assunzione di Maria. Per una ricostruzione delle origini del torneo equestre rivestono particolare interesse i volumi dell’umanista sulmonese Ercole Ciofano, con la sua “Sulmonis descriptio” e “Capitoli da osservarsi nella Giostra della Città di Sulmona” dato alle stampe da Cornelio Sardi. La Giostra avrebbe quindi avuto origine in tempi precedenti, da collocarsi già nell’epoca di Federico II, nel XIII secolo, quando la comunità sulmonese godeva di un momento favorevole.
Il sigillo della Città di Sulmona fu concesso da Re Ladislao di Durazzo nel 1410 e riprodotto in un documento datato 2 novembre 1465, che il comune di Sulmona ha fatto restaurare. Il sovrano restituì a Sulmona un antico privilegio che nel 1279 Carlo I D’Angiò aveva fatto distruggere in tutte le principali Città del Regno, perché simbolo di libertà e autonomia dei Comuni dell’autorità regia. Il disegno (che riproduce il cartiglio nel documento originale) postato qui in basso porta la firma di Pietro Piccirilli, storico sulmonese. Accanto vi è la riproduzione situata all’ingresso di Palazzo San Francesco. Lo stemma è così descritto nello Statuto comunale: “Lo stemma del Comune di Sulmona, secondo l’iconografia che si è storicamente determinata dal Sigillum Universitatis Civitatis Sulmone concesso da Re Ladislao di Durazzo il 2 settembre 1410 come rinnovato simbolo della libertà comunale, è rappresentato araldicamente da uno scudo gotico antico, di rosso, alle quattro lettere d’oro maiuscole SMPE ordinate in banda (le iniziali dell’emistichio ovidiano SULMO MIHI PATRIA EST), sormontato da corona di Città, turrita, formata da un cerchio d’oro aperto da otto posterle (cinque visibili) con due cordonature a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili) riunite da cortine di muro, il tutto d’oro, murato di nero e foderato di rosso”.
Il torneo consisteva in tre assalti alla lancia, portati contro un bersaglio umano (il cosiddetto “Mantenitore”) da un cavaliere munito di una lancia con vernice bianca sulla punta (detta punteria). Fin dalle origini il torneo si disputava nel foro detto della Piscarìa, come riferisce lo studioso Enzo Mattiocco, da identificare con l’attuale Largo Faraglia, prospicente l’Acquedotto medioevale del 1256, fatto costruire da Re Manfredi di Svevia. Con il tempo, cominciando proprio dalla costruzione del monumentale Acquedotto, quindi successivamente con la costruzione del convento di Santa Chiara ed ulteriori edifici, la “piscarìa” si estese fino a raggiungere le attuali dimensioni e caratteristiche e assumendo i connotati dell’attuale piazza Maggiore. Nel Quattrocento piazza Maggiore venne arricchita della presenza di una piccola chiesa dedicata a San Sebastiano, più tardi intitolata poi a San Rocco. Nella piccola chiesa celebrava messa in occasione della festa del santo e nei giorni di mercato. E qui sostavano i cavalieri in preghiera prima delle sfide.
Proprio perché il torneo cavalleresco di piazza Maggiore era disputato in occasione di solennità religiose, ad organizzarlo erano i governatori delle chiese dell’Annunziata e di Santa Maria della Tomba, intitolate per l’appunto alle due solennità mariane. Gli stessi governatori delle due chiese sostenevano l’onere finanziario dell’organizzazione del torneo. Nel 1581 le associazioni religiose cessarono di organizzare e finanziare le Giostre. Un fatto che agitò non solo l’aristocrazia locale, che di quelle Giostre fu sempre protagonista ma anche i ceti artigianali e commerciali per l’indotto e ritorno economico che i tornei equestri producevano. Da quel momento quindi fu la pubblica amministrazione ad accollarsi le spese della manifestazione. A partire dai primi anni del XVII secolo le Giostre attraversarono momenti di crisi. L’ultima Giostra dell’era antica si svolse quindi nel 1643, vinta da Scipione Tabassi, rampollo di una nobile famiglia sulmonese.